La cooperativa STALKER per il reinserimento sociale


Il nome Stalker è tratto dal film di Andrej Tarkovskij: Stalker, appunto.

Racconta di uno scrittore e di uno scienziato che decidono di entrare nella Zona, un territorio dall’apparenza normale. Si dice invece che in questa Zona vi sia una stanza in cui si avverino i desideri più intimi e segreti: è qui che i due vogliono recarsi. Per il loro viaggio ingaggiano uno Stalker, una guida esperta della Zona, che farà di tutto perché i due uomini arrivino sani e salvi alla zona.
Lo Stalker li guiderà in un percorso dalle regole sempre più articolate e imprevedibili, rimarrà sempre un po’ distaccato dalle discussioni delle persone che accompagna e seguirà il suo compito in modo imperscrutabile. A cosa può portare la realizzazione di ciò che più intimamente si desidera, di ciò che abbiamo dentro, oltre tutti i desideri urlati, dei “desideri più sofferti” ? Si è veramente pronti a vederli soddisfatti? Gli interrogativi restano privi di risposta e tutto si riduce a una particella elementare, l’unica su cui l’uomo può basare la sua esistenza: la capacità di amare.
La cooperativa Stalker viene fondata nel 2006 da 12 persone, la maggior parte delle quali con una storia di malattia mentale

Persone che negli anni precedenti avevano “attraversato” i servizi locali della salute mentali (quelli pubblici, come i reparti di psichiatria degli ospedali, e molto di più, quelli privati delle case di cura).
Per arrivare ad abitare un proprio spazio e a gestire in autonomia il proprio tempo, fino ad avvertire il bisogno di lavorare, di guadagnare, di sentirsi utili e capaci. cioè, non più solo pazienti psichiatrici.
Così nasce la cooperativa sociale Stalker, come tante altre simili nel nord Italia erano nate negli ultimi trent’anni, come pochissime altre in Campania.
Dalla disponibilità di un’azienda agricola di Eboli, l’Improsta, gestita dalla Regione Campania, e da un investimento significativo dei soci (per il 90% “svantaggiati”) viene fuori un’attività di trasformazione della frutta e dei pomodori in marmellate e conserve. Prodotti con infinita attenzione e secondo i più rigorosi criteri di genuinità e salubrità per di più, certificati biologici.
In questi quattordici anni la cooperativa, che è una onlus, ha accolto in percorsi di inserimento lavorativo non solo persone con disturbo mentale ma anche immigrati, ex detenuti, tanti in difficoltà.
Grazie a tutti loro, abbiamo capito quanto il lavoro e il lavorare assieme per uno scopo comune, possa aiutare, curare, a volte guarire.
La forma-lavoro cooperativa sembra quella che meglio risponde alle esigenze di lavoro espresse dalle persone-con-sofferenza, ma anche da molti giovani che, pur non con una sofferenza strutturata, fanno fatica a stare o vengono espulsi dal lavoro dipendente e che si affacciano numerosi ai Centri di Salute Mentali territoriali chiedendo autonomia, socialità, aggregazione, autorealizzazione, spazio di espressione per fantasie e progetti.
Si lavora per costruire la possibilità non perché tutti siano uguali, ma perché tutti abbiano uguali diritti, impegnandosi contro i meccanismi e le organizzazioni che trasformano le diversità in disuguaglianze sociali e negano ad alcuni possibilità, diritti e potere sociale.
Finite le questioni dell’internamento, si devono affrontare le questioni della vita: casa, lavoro, reddito, rapporti, affetti, formazione, sessualità…
Dopo l’affermazione della “libertà da…” si tratta di costruire la “libertà di… “ consapevoli che il permanere per alcuni in una situazione d’esclusione sociale, quindi il non avere accesso ai diritti di cittadinanza, è la condizione che può riproporre la necessità del ritorno alla reclusione e all’internamento (Rotelli).
Il lavoro non fornisce solo reddito, ma è luogo di costruzione di identità, di rafforzamento di fiducia e rispetto di sé, luogo di scambio e di relazioni sociali, di valorizzazione, di apprendimento, occasione di accrescimento personale e professionale, di acquisizione di indipendenza ed autonomia.